
Il motivo? Ci resta ancora sconosciuto, perché nessuno dei nostri politici si è preso la briga di darci una spiegazione ufficiale. Ne siamo venuti a conoscenza (forse) dalla carta stampata, dove la notizia è finita in una qualche pagina interna dedicata ai quei pazzi techno-freek.
Se andate a svogliare la pagina dell'Italia su Wikipedia e scorrette la pagina fino in fondo, noterete con tristezza che tra i siti correlati al nostro paese, italia.it è ancora nella lista, ma con un ignobile chiuso tra parentesi.
Oltre al danno, anche la beffa
E' proprio il caso di dirlo. Oltre a non avere più il sito che in tanti avevano visto come il segno di un nuovo risorgimento italiano, abbiamo anche investito (forse visto l'esito sarebbe il caso di dire sprecato) la bellezza di 45 milioni di euro. Per i non addetti ai lavori, vorrei far notare che si tratta di una cifra spropositata. Sono convinto che decine di studenti universitari di Belli Arti si sarebbero offerti di realizzarlo per una cifra 1000 volte inferiore.
Per rendere ancora meglio le dimensioni di questo spreco, lasciatemi quantificare questi 45 milioni usando come unità di misura lo stipendio di un ricercatore, si proprio uno di quelli che il governo vieta per legge l'assunzione da 6 anni e che sta disperatamente cercando di tenere occupati nella speranza che non fuggano tutti all'estero. Il lordo aziendale annuo di un ricercatore è di circa 40 mila euro, quindi i 45 milioni di euro si traducono in 1125 annualità di un ricercatore. Considerando l'età media di pensionamento, questo spreco avrebbe assunto 32 ricercatori per tutta la loro vita scientifica. Il calcolo è chiaramente approssimativo perché dovremmo tenere in considerazione che parte del lordo aziendale ritorna nelle casse dello stato e che questi fondi sarebbero stati diluiti su un intervallo temporale di circa 35 anni.
Fate voi i conti precisi, io intanto resto in attesa che qualcuno mi dia una ragione per aver chiuso a chiave la porta d'Italia.