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15 ottobre 2011
Usare l'antimateria per sondare la materia
Oggi vorrei parlarvi di una tecnica sperimentale che ho imparato a conoscere un po' meglio nelle ultime due settimane e che proprio mentre vi scrivo viene applicata ad uno dei nostri campioni di nanoparticelle nella speranza di ottenere qualche utile informazione. Premetto che tutto quanto trovate in questo post è frutto di piacevolissime chiacchierate con due massimi esperti di spettroscopia di positroni che ho avuto la fortuna di incontrare presso il Politecnico di Milano - Sede di Como. I grafici li ho amichevolmente rubati dal loro sito, che vi consiglio di visitare.
Lo scopo del gioco è scoprire informazioni sulla struttura microscopica, sarebbe più appropriato dire nanoscopica, di alcune nanoparticelle. In particolare, siamo curiosi di sapere se dopo essere state sottoposte ad un irraggiamento con i protoni del nostro acceleratore, subiscono danni strutturali. I danni, se ci sono, sono molto piccoli e ci serve una sonda minuscola per andarli ad individuare. Come sonda stiamo utilizzando la più piccola delle particelle di antimateria, i positroni, ovvero i fratelli degli elettroni: i due sono praticamente gemelli identici, se non fosse per il segno della loro carica elettrica, gli elettroni sono negativi mentre i positroni, come anche suggerisce il nome, sono carichi positivamente. Un positrone nel vuoto vive per un tempo indeterminato, ma non appena entra in contatto con l'aria, il suo destino è segnato da un morte certa e velocissima. Non è tanto l'aria ad ucciderlo, ma la materia e in particolare il contatto con gli elettroni. Quando materia e antimateria si incontrano si annichilano, ovvero le due particelle di fatto scompaiono dando vita ad una coppia di fotoni (particelle di luce) ognuno con un'energia pari alla massa di una di loro.
Il fatto che la somma delle energia dei fotoni emessi sia uguale alla massa delle due particelle (ricordate ?) è una condizione necessaria per rispettare la conservazione dell'energia, ma non è l'unica caratteristica distintiva di questo processo di annichilazione. Ne esiste un'altra ed è legata alla conservazione della quantità di moto che impone una condizione sulla direzione di emissione di questi fotoni: esattamente uno opposto all'altro formando un angolo di 180 gradi. Gli inglesi chiamano questa condizione back-to-back, schiena contro schiena.
Un modo per sfruttare i positroni come sonda per testare la materia è quello di misurarne la vita media, ma non è la tecnica che vogliamo sfruttare noi, che siamo invece interessati alla CDB sigla per Coincidence Doppler Broadening, ovvero l'allargamento della linea di emissione dovuta all'effetto Doppler. Vediamo di capire di cosa si tratta.
Poche righe fa abbiamo detto che ogni fotone di annichilazione ha un'energia di 511 keV che è la massa dell'elettrone, ma questo è vero solo in media oppure nel caso molto particolare in cui positrone ed elettrone al momento del loro incontro/scontro sono perfettamente fermi. Se uno dei due fosse in movimento, come spesso accade per gli elettroni presenti nel campione da analizzare, allora uno dei due fotoni sarebbe leggermente più energetico di 511 e l'altro un po' meno (la somma deve sempre comunque essere 2 * 511). Un po' come succede per il suono della sirena dell'ambulanza: quando arriva verso di noi ci sembra più alto, mentre è più basso una volta che l'ambulanza ci ha superato. Lo stesso fenomeno è utilizzato dagli autovelox per misurare la velocità a cui stiamo viaggiando.
Quindi ricapitolando: se uso un solo rivelatore e mi accontento di vedere uno solo dei due fotoni emessi allora la distribuzione di energia del singolo fotone sarà come quella del grafico qui a fianco e dal picco a 511 keV non si può capire tanto. Il problema sta nel fatto che l'informazione che ci interessa, ovvero l'allargamento di questo picco è contenuta nelle code (i puntini rossi) che possiamo solo intuire perché coperti da quella zona piatta che non possiamo eliminare.
Ma, e qui c'è l'idea geniale dietro a questa tecnica, se prendo un secondo rivelatore, faccio lavorare entrambi in una stretta coincidenza temporale, cioè seleziono solo le coppie di fotoni che provengono dallo stesso evento di annichilazione e faccio un grafico di correlazione ottengo l'immagine qui a destra. Innanzitutto si osserva qualcosa che intuitivamente non ci saremmo immaginati: l'ellisse nel centro! Questa è causata proprio dall'effetto doppler che distribuisce l'energia dei due fotoni mantenendone però costante la somma. Nel grafico con un singolo rivelatore, i pallini rossi erano nascosti da quelle zone piatte, che nell'immagine a colori corrispondono alle righe orizzontali e verticali che formano una sorta di croce. Ora però se ritagliamo l'immagine 2D lungo le linee tratteggiate e compattiamo il tutto otteniamo un picco in cui le code sono perfettamente visibili perché gli altipiani sono letteralmente spariti. Questo nuovo grafico non è più in energia, ma è su una scala di quantità di moto quella appunto del sistema elettrone-positrone. Le code, che sono parecchio allargate, sono prodotte dall'annichilazione di un positrone con un elettrone molto veloce, come quelli che si trovano nelle regioni più interne degli atomi. La parte stretta centrale, invece, è legata all'interazione con gli elettroni più lenti e più esterni ed è tanto più marcata tanti più difetti ci sono nella struttura.
La tecnica è chiaramente differenziale, ovvero funziona confrontando un prima e un dopo, nel nostro caso prima e dopo essere irraggiato col fine di valutarne gli effetti. Al momento gli amici e colleghi del Politecnico di Milano (sede di Como) stanno facendo tutte le misure preliminari e a partire dalla prossima settimana ci hanno promesso i primi risultati e noi non vediamo l'ora di invitarli sul Lago Maggiore per farceli raccontare!
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1 commento:
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OT: toccata e fuga per un saluto e per chiederti cosa ne pensi a riguardo di ieri sera... Magari passa da me, cosi non "inzozziamo" troppo qui. Buona domenica Toto. :)
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