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1 agosto 2008

Vent'anni che non dormo

Per chi si sente precario, non solo nel lavoro, per chi ha lasciato qualcosa a metà, nella sua vita, e non sa se pentirsene o se accettarlo come destino ineluttabile, per chi ha visto tante cose brutte, ma sa ancora sognare e vivere di poesia: un libro simpatico, a tratti triste, a tratti quasi comico, che si legge tutto d'un fiato.
È la storia di Marco, che ha mollato l'università, la ragazza, i tanti lavori precari, la famiglia sfasciata e che vive alla giornata, tra i ricordi dei nonni e le nuove amicizie. Non si puo' parlare di una vera e propria trama (anche la sua avventura come "pappone" che offre agli amici l'amore di una notte -ma sincero!- della sua coinquilina, Chiara, in realtà si risolve in uno dei tanti episodi su cui riflettere). Eppure la lettura è abbastanza scorrevole e lo stile è decisamente riuscito: buon esempio di quella tendenza "caotica" di molti giovani autori che, secondo me, raramente raggiungono una tale efficacia.

Ce n'è per tutti i gusti: dalle descrizioni dettagliate dei cessi degli autogrill ai ricordi da bambino in giro con i nonni, dai travestiti all'Amore (vero o confuso, un po' in tutte le varianti). Ma la cosa più bella è che alla fine, pur nel caos stilistico ed esistenziale, tutto sembra trovare un ordine, una collocazione, che non porta certo a verità assolute, intendiamoci, il senso di precarietà non scompare, ma in bocca rimane un gusto dolce che sembra suggerire che si può andare avanti lo stesso, che si può vivere lo stesso, anche se il nostro futuro non solo non è come ce l'eravamo sempre aspettato, ma addirittura adesso non sembra neppure più avere un senso, fagocitato dalla crudezza del presente.

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