In questi giorni in molti mi chiedono se scriverò qualcosa nel terzo anniversario dell'incidente di Fukushima e io, impegnatissimo sia sul fronte professionale sia personale, mi trovo a rispondere che farò il possibile per non deludere le loro aspettative. E così ho deciso di pubblicare un'intervista un po' particolare, un'intervista a me. Tranquilli non mi sono montato la testa al punto di "cantarmela e suonarmela da solo", ovvero di prepararmi le domande per cui conosco le risposte, ma in un momento di completa assenza di ispirazione voglio riportarvi sotto forma di domande e risposte le discussioni che nascono con amici e colleghi sul tema. Quindi, spero che non vi dispiaccia se iniziamo con la prima domanda.
Adesso che sono passati tre anni e la situazione sembra più tranquilla, ci dici cosa è successo a Fukushima? Tre anni fa un evento naturale dalla portata spropositata, la combinazione mortale di un terremoto e di uno tsunami, ha messo in luce la fragilità di molte opere dell'uomo, inclusa una tecnologia, quella nucleare, che era ritenuta dai suoi progettisti infallibile. Nel complesso le centrali nucleari del Giappone orientale, particolarmente esposte alla catastrofe, hanno resistito piuttosto bene, molto meglio di altri impianti industriali che sono andati completamente distrutti. Ma...
Ma allora cosa è andato storto a Fukushima? Una cosa sola, semplice a parole, ma forse non altrettanto nei fatti. Sono mancati i paletti, quel recinto che un ente di controllo deve piazzare intorno alle smanie di guadagno di un'impresa come può essere TEPCO. Così da una parte l'impresa ha puntato al risparmio e al guadagno facile e dall'altra chi doveva controllare non ha fatto a pieno il suo dovere. Il risultato è quello che abbiamo visto. Certo se l'evento naturale non fosse stato così potente, se l'onda di tsunami fosse stata più bassa, magari la situazione non sarebbe stata così grave, ma sarebbe stata solo fortuna e il sistema marcio sarebbe semplicemente andato avanti nell'ombra peggiorando giorno dopo giorno.
In tre righe ci racconti cosa è successo dal punto di vista tecnico? In tre righe è impossibile, facciamo qualcuna di più e per chi vuole ancora più dettagli li trova a questo link in italiano. C'erano tre reattori in funzione (l'1, il 2 e il 3) durante il terremoto dell'11 marzo 2011 e fu proprio il sisma a mandarli in arresto rapido di emergenza. Fino a qui nulla di strano, se non fosse che anche altre centrali, nucleari e non, nelle vicinanze si sono arrestate lasciando di fatto la centrale al buio. Questo è un problema, perché, anche se la reazione nucleare a catena viene arrestata, è comunque necessario continuare a raffreddare il combustibile e per questo serve energia; per prevenire questa evenienza ogni centrale è dotata di batterie tampone e generatori diesel di emergenza. Ed è proprio a questo punto che arriva la prima onda di tsunami che allaga i generatori e i locali batterie che non solo non sono stagni, ma sono sotto il piano di campagna anziché essere in collina, e spazza via le cisterne con il gasolio. In quel momento la situazione diventa critica: una centrale senza energia elettrica (interna ed esterna) ha le ore contate, il combustibile nucleare, se non raffreddato si surriscalderà fino a fondere le barriere che lo contengono. E' inesorabile.
E così che sono arrivate le esplosioni in diretta TV? Esatto. A causa del riscaldamento del nocciolo il livello dell'acqua è andato velocemente ad abbassarsi lasciando scoperta parte delle barre di combustibile. Calore e vapore acqueo hanno reagito con le guaine del combustibile realizzate in una lega di zirconio producendo altro calore e idrogeno. Gli operatori hanno cercato di far sfogare questa sovrappressione, pur sapendo che avrebbero anche rilasciato una grande quantità di radioattività (in particolare gas nobili, iodio e cesio che sono tra i prodotti di fissione quelli più volatili), ma l'idrogeno, anziché scappare in atmosfera si è accumulato negli edifici dei reattori (altro errore di chi ha progettato e di chi non ha controllato) provocando quelle esplosioni che abbiamo visto in diretta trattenendo il respiro.

Ma quindi cosa stanno facendo nella centrale? A prima vista, sembra nulla. Apparentemente la situazione sembra congelata, ma non è così e bisogna portare pazienza. C'è un piano della durata minima di trent'anni, quindi non possiamo aspettarci risultati concreti e passi in avanti ogni giorno. Una buona parte della forza lavoro è impegnata nella gestione dell'acqua di cui vi ho già detto prima, altri lavorano intorno ai reattori e altri ancora si stanno occupando della piscina del reattore 4 che sta venendo progressivamente svuotata dal combustibile esausto. Se vogliamo questo è l'esempio più evidente che qualcosa si sta muovendo, anche se di fatto non si tratta di un'operazione estremamente complicata. Più complesso, e lento, è il lavoro svolto per gli altri reattori. Si tenta di abbassare la dose all'interno pulendo e decontaminando le superfici e al tempo stesso si stanno cercando le perdite attraverso le quali l'acqua utilizzata per raffreddare i reattori esce e si accumula nei locali adiacenti. Il passo successivo sarà capire come fare per toppare queste perdite e riempire il più possibile il contenimento con acqua in modo da schermare le radiazioni e poter aprire il reattore dall'alto e rimuovere il combustibile. Tutte queste fasi andranno studiate man mano che verranno a chiarirsi i dettagli. Non è per niente facile, è davvero una sfida che richiederà la collaborazioni di tutti. I Giapponesi l'hanno capito e dopo un iniziale chiusura, hanno chiesto al mondo intero un aiuto attraverso la creazione di IRID, un istituto di ricerca dedicato alla disattivazione degli impianti nucleari. Infatti la messa in sicurezza del combustibile danneggiato di Fukushima porterà allo sviluppo di tecniche importanti per le fasi di decommissiong anche delle altre centrali in giro per il mondo non incidentate.
Sì, ma intanto la gente muore. Ecco sfatiamo questo luogo comune. Tutti gli studi internazionali fatti fino ad oggi dimostrano che i livelli radiazioni ricevuti dalla popolazione, sia direttamente, sia attraverso l'assunzione di cibo contaminato, sono estremamente bassi. E non stiamo parlando di chi era a Osaka o anche a Tokyo. La dose prodotta dall'incidente sommata al fondo naturale nelle regioni più colpite (molto basso) risulta essere inferiore al fondo naturale di molte città italiane. Sarà quindi estremamente difficile andare a discriminare quei pochi casi di insorgenza di cancro conseguenza dell'incidente rispetto alla grossa fetta della popolazione che, per altri motivi, è destinata ad ammalarsi. Eppure Fukushima ha fatto, fa e farà vittime (non necessariamente morti); la causa di queste vite infelici però non sono tanto i danni biologici delle radiazioni, ma le conseguenze psicologiche e biologiche della paura delle radiazioni e dello stress di vivere nel dubbio e nell'incertezza. La responsabilità di queste vite distrutte non è solo di chi ha progettato la centrale e di chi non ha controllato come questa venisse operata, ma anche di chi non si è preoccupato della formazione della popolazione e di chi ha generato paura con una cattiva informazione. Questo errore non è solo del Giappone; basti pensare che dopo l'11 marzo 2011 gli italiani sono corsi a votare per fermare la possibilità di ritornare al nucleare, ma nessuno - o quasi - ha manifestato perché si costruiscano opere edili secondo i moderni standard antisismici, come quelli che in Giappone hanno resistito ad un sisma del nono grado, praticamente senza morti, quando scosse molto meno violente fanno stragi nel Bel Paese. E' mancata, e purtroppo continua a mancare, la corretta contestualizzazione del rischio.
Però abbiamo imparato la lezione, i Paesi seri stanno spegnendo il nucleare. La lezione che dobbiamo imparare da Fukushima non è che il nucleare è cattivo e che tutte le centrali devono essere chiuse. La diversificazione delle fonti energetica deve occupare un ruolo chiave nella strategia energetica e di sviluppo di un Paese serio. Da Fukushima dobbiamo imparare due lezioni importanti: la prima è che ognuno deve fare bene il suo lavoro, in particolare chi ha il compito di controllare che vengano rispettate le regole deve compiere il suo dovere fino in fondo. La comunità internazionale si sta muovendo in questo senso e organismi internazionali si stanno impegnando in questa direzione, non solo per controllare i controllati, ma anche i controllori. La seconda lezione è che uno può progettare e costruire la centrale più sicura al mondo, ma se la gente continuerà ad aver paura anche un incidente senza conseguenze dirette farà vivere male le comunità locali. Informazione e formazione del pubblico devono essere il punto di partenza per (ri)costruire quel rapporto di fiducia che è venuto a mancare.
E con questo direi che possiamo concludere questa schizofrenica intervista e vorrei farlo con dei ringraziamenti, sicuramente non a me, ma a voi che ci seguite e leggete. Grazie di cuore!