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8 febbraio 2011

A cosa serve il nano-oro

L'oro è giallo, lo sanno anche i bambini,
ma questi sono i colori che assume quando
si trova in soluzione acquosa alle nanoscale
Da quando lavoro all'unità di Nanobioscienze del JRC di Ispra, in tanti mi chiedono: ma a cosa servono le nanoparticelle, le nanostrutture, i nanotubi e tutti quei nanocosi? La domanda sorge dal dubbio insinuato da letture occasionali e trasmissioni televisive in cui si è dichiarato, senza l'opportuna base scientifica, che le nanoparticelle sono pericolosissime per la nostra salute. Parte del mio lavoro è fornire queste basi scientifiche ai legislatori per poter prendere delle decisioni politiche per la salvaguardia dell'uomo e dell'ambiente.

In pratica, quello che facciamo è studiare le proprietà della materia alle nanoscale, ma quando recito questa frase davanti ad interlocutori non scientifici leggo sulle loro facce la domanda repressa: ma perché, con quale scopo? In realtà noi lo faremmo anche se non ci fosse una diretta applicazione di quello che facciamo, ma è decisamente più importante per il grande pubblico quando queste ricerche hanno uno sbocco diretto e immediato sulla pelle di tutti i cittadini che con le loro tasse hanno finanziato questi studi.

Questa mattina ho letto un bell'articolo apparso sul International Journal of Radiation Oncology Biology and Physics (doi: 10.1016/j.ijrobp.2010.10.022) e rielaborato e distribuito da Medical Physics Web. Il titolo dell'articolo è "Le nanoparticelle aumentano l'efficacia della radioterapia". Se avete interesse e pazienza ve ne riporto un breve riassunto.

L'idea di base di qualunque terapia antitumorale è colpire le cellule malate e solo quelle, senza distruggere quelle vicine. Ci sono diversi modi per raggiungere questo scopo dipendentemente dalla terapia consigliata e con più efficacia per quella tipologia di tumore. Nel caso della radioterapia, ovvero la cura attraverso la somministrazione di dosi di radiazione gamma o beta, si ricorrere a fasci molto ben collimati, modulati in intensità e a piani di trattamento studiati a priori partendo da immagini tomografiche ad alta risoluzione.

Nello studio in oggetto, i ricercatori hanno osservato che nanoparticelle di oro tendono ad accumularsi nella vascolarizzazione dei tumori e restano praticamente quiescenti fino tanto che non vengono stimolate da un fascio di raggi X di bassa energia (100 keV). In quel caso infatti, le nanoparticelle tendono ad emettere un elettrone (che i fisici chiamano foto-elettrone, per via di come viene generato) che percorre pochissima strada nel tessuto aumentando il danno alle cellule tumorali nelle quali il nano-oro si era depositato.

In questo momento i ricercatori si ritrovano sul punto di passare dalla teoria alla pratica e stanno per cominciare la campagna di esperimenti in vitro e in vivo per misurare l'effettiva efficacia del trattamento, quale sia l'ottimale concentrazione di nano-oro e se ci sono effetti collaterali.

E se questo vi sembra poco, pensate che questa polvere d'oro è grande solo un miliardesimo di metro!

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