Quando 1 + 1 non fa due e la differenza è energia
Prima di ricominciare con la nostra mini serie nucleare, facciamo un brevissimo riassunto delle puntate precedenti, o meglio cerchiamo di ricapitolare tutto quello che abbiamo imparato e che ci servirà per capire il funzionamento della fusione nucleare.
Nella prima puntata (Un nucleo pieno di energia) abbiamo scoperto che esiste una forza - detta nucleare forte - che tiene insieme protoni e neutroni all'interno del nucleo. Come dice il nome questa interazione è molto forte, molto più forte della repulsione elettrostatica, ma ha un raggio d'azione parecchio limitato il che la rende quasi inesistente non appena due nucleoni si allontano. Sempre nella prima puntata abbiamo fatto la meravigliosa quanto inattesa scoperta che quando singoli protoni e neutroni si legano a formare un nucleo, allora parte della loro massa complessiva si trasforma in energia, proprio quell'energia che li tiene legati insieme.
In conclusione della prima puntata e per tutta la seconda (Reattori a fissione) ci siamo occupati della possibilità di spremere energia da un nucleo grande spaccandolo in due nuclei più piccoli. Questa è una conseguenza diretta di un altro grafico fondamentale di cui abbiamo già parlato, l'energia di legame per nucleone; l'altra conseguenza è che si può guadagnare energia unendo due nuclei piccoli ovvero attraverso la fusione nucleare.
Siamo vivi grazie alla fusione
È proprio il caso di dire che la vita sulla Terra non esisterebbe se non ci fosse la fusione nucleare. Il nostro Sole, come tutte le altre stelle che riempiono il cielo, sono delle enormi centrali nucleari a fusione dove nuclei leggeri sono fusi insieme per formare nuclei più pesanti, dall'idrogeno fino agli isotopi di ferro e nickel.
Il fatto che la generazione di energia attraverso la fusione sia così tanto comune in natura non la rende una tecnica semplice. Pensate che fin dal 1950 sono in corso vasti studi per realizzare macchine in grado di controllare e sostenere una reazione di fusione con un bilancio netto e positivo di energia e ancora non ci siamo arrivati. L'unica consolazione è che gli scienziati non si sono mica arresi e prima della fine del 2020 avranno costruito nel sud della Francia, grazie ad una collaborazione scientifica planetaria, ITER, il più grande reattore a confinamento magnetico - vedremo nel seguito cosa significa - che sarà in grado di sostenere per un centinaio di secondi una fusione termonucleare. Da qui ad un reattore in grado di produrre efficacemente e in sicurezza energia elettrica, la strada è ancora lunga, ma non per questo ci dobbiamo arrendere.
Ma perché la fusione è così difficile?
Comparata alla fusione, la fissione nucleare è un gioco da ragazzi. Vi ricordate come funzionava un reattore a fissione? Bastava prendere una certa quantità minima di combustibile, sparargli contro un po' di neutroni per accenderlo e poi semplicemente controllare la temperatura attraverso il numero di neutroni contenuti nel nocciolo. La fusione è intrinsecamente più complessa. Ci sono sostanzialmente due motivi fisici che la rendono tale: la repulsione Coulombiana e la necessità del confinamento. Vediamo nel dettaglio di cosa stiamo parlando.
Abbattere il muro di Coulomb
Sparare un neutrone contro un nucleo è relativamente facile, perché il neutrone non ha nessuna carica elettrica e quindi una volta indirizzato verso il nucleo questo continuerà il suo viaggio indisturbato fino alla meta. Non è così facile sparare un protone contro un nucleo. Immaginiamo per esempio di voler far urtare uno contro l'altro due nuclei di idrogeno - ovvero due protoni. Questi hanno entrambi una carica elettrica positiva e quindi sono soggetti ad una forza di repulsione che cresce con il diminuire della distanza. In parole povere signfica che se consideriamo un protone fermo (bersaglio) e l'altro in moto (proiettile), allora vedremo il proiettile decelerare mentre si avvicina al bersaglio come se si trovasse a percorrere una strada in salita. Se la velocità iniziale del proiettile (o la sua energia cinetica) non è sufficientemente alta, allora vedremo il proiettile fermarsi prima di urtare il bersaglio e cominciare indietreggiare. Quando però l'energia del proiettile è sufficiente a farlo avvicinare ad una distanza "nucleare" - il diametro di un nucleo - allora entra in gioco la forza nucleare forte, che è attrattiva, e risucchia il proiettile nel bersaglio.
Ecco spiegato il primo inghippo, il fatto che la fusione avviene tra elementi carichi richiede di superare la barriera elettrostatica e di conseguenza i reagenti devono avere una velocità minima parecchio elevata perché questo avvenga. Un metodo per aumentare la velocità media delle particelle è quello di alzare la temperatura (fusione termonucleare): riscaldando i reagenti ad una temperatura di qualche milione di gradi si possono osservare reazioni di fusione con rilascio di energia.
Confinare la patata bollente
Per superare la barriera Coulombiana abbiamo bisogno di riscaldare il nostro combustile a temperature elevatissime fino a trasformarlo in un plasma altamente ionizzato. Per far questo dobbiamo necessariamente investire una certa quantità - non trascurabile - di energia, ma lo facciamo nella speranza che poi il plasma si auto-sostenga, ovvero che gli eventi di fusione rilascino l'energia sufficiente per mantenere la temperatura giusta e bilanciare eventuali perdite. In realtà vorremmo che l'energia prodotta sia addirittura maggiore perché vorremmo poterci guadagnare qualcosa da questo gioco.
Il problema è che questo plasma è davvero un'enorme patata bollente che tende ad espandersi e a raffreddarsi ed è facile immaginare che mantenere stabile e compatto questo mostro non sia una cosa facile. In natura, nelle stelle, il confinamento è gravitazionale: la massa del plasma è tale da esercitare su sé stesso una forza attrattiva da tenerlo ben compatto e coeso. Purtroppo non è possibile realizzare una situazione situazione sulla terra perché dovremmo ammassare una quantità di idrogeno pari a due o tre volte la massa di Giove!
L'altra possibilità è quella di sfruttare il fatto che questo plasma è carico elettricamente: in questo modo possiamo costruire una sorta di cella di isolamento con mura magnetiche in cui rinchiudere il plasma. Questo è il principio alla base del confinamento magnetico implementato nei moderni reattori Tokamak.
E poi? Cerchiamo il combustibile...
Ammesso che siamo stati in grado di superare questi due primi ostacoli non da poco, possiamo pensare di andare avanti nella nostra ricerca di energia. Come prima cosa dobbiamo capire quale sia il migliore combustibile, ovvero quello con la maggior resa. Dopo anni di studio, gli scienziati sono giunti alla conclusione che la miglior reazione è quella che fonde insieme un nucleo di deuterio con uno di trizio per ottenerne uno di elio e un neutrone veloce. Sia il deuterio sia il trizio sono isotopi dell'idrogeno, ovvero nuclei con 1 protone e, 1 o 2 neutroni rispettivamente. Il fatto che ogni evento di fusione rilascia milioni di volte più energia che la combustione chimica fa si che la quantità di combustibile da "bruciare" sia minima. Per fare un esempio e dare un po' di numeri: una centrale da 1 GW a carbone, brucia circa 2.7 milioni di tonnellate di carbone in un anno; le centrali a fusione che eventualmente andremo a costruire dal 2050 in avanti avranno la stessa potenza bruciando solo 250 kg di combustibile.
Di dueterio ne abbiamo in abbondanza. Questo è un isotopo stabile, non ci sono problemi di radioattività e il mare ne è pieno: in ogni litro di acqua marina ci sono 33 milligrammi di deuterio. Non si può dire la stessa cosa per il trizio. Questo infatti è un isotopo radioattivo con un'emivita breve e che è presente in natura solo in tracce - solo 20 kg in tutto il mondo -, ma si può produrre o all'interno dei reattori a fissione o proprio nei reattori a fusionie Infatti è possibile utilizzare alcuni dei neutroni prodotti nella fusione per creare nuovo di trizio da riusare come carburante.
E le scorie?
Quali scorie? Questo è il bello della fusione... Non ci sono scorie, non ci sono emissioni di anidride carbonica e di gas serra, non ci sono sostanze tossiche né inquinanti. Viene prodotta una certa quantità di elio, un gas nobile e inerte che non costituisce nessun problema per l'ambiente. C'è un minimo rischio radiologico, perché mentre in operazione vengono creati parecchi neutroni veloci, ma questi sono totalmente fermati nelle pareti del reattore senza alcun pericolo per l'ambiente. E' possibile che alcuni materiali che compongono il reattore stesso vengano attivati dal flusso di neutroni e per cui è necessario progettarli in modo da utilizzare materiali che in caso di attivazione abbiano vita media molto breve in modo da poterne disporre in modo semplice.
Ma se si fonde tutto?
Anche in questo caso possiamo stare molto tranquilli. Qualora per qualsiasi ragione si dovesse perdere il controllo del plasma ad altissima temperatura, questo perde di stabilità e si raffredda in modo autonomo e quasi istantaneamente. Quindi non ci sono rischi strutturali. Anzi si fa talmente fatica a tenere il plasma confinato e caldo che il problema è piuttosto il contrario.
Perfetto, ma allora cosa stiamo aspettando?
Ottima domanda! La risposta è che questa fonte di energia pulitissima, praticamente inesauribile e molto economica, ancora non è pronta per essere sfruttata. Questi numeri dovrebbero farvi capire quanto ancora sia lunga la strada da percorrere:
- la durata massima di un plasma caldo è di 6 minuti e 30 secondi ed è stata ottenuta al JET (Joint European Torus). Ovviamente vorremmo un plasma che duri indefinitivamente, o almeno fin tanto che non siamo noi a spegnerlo. Sei minuti e mezzo di accensione sono un po' pochini per una centrale, non credete?
- il breakeven è ancora lontano: al momento il miglior record spetta ancora al JET e si è ottenuta un'energia pari al 70% di quella utilizzata per far partire la reazione. Ovvero si spende 100 per guadagnare 70... non siamo dei gran affaristi.
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